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  di Lorenzo Sala

 

La sfida per il PD e la Sinistra in Italia ed in Euorpa.

Chissà se chi ha attraversato epoche ed eventi che noi, oggi, definiamo come snodi decisivi della storia, ebbe la consapevolezza di viverli come tali. Io dico di sì: questa consapevolezza la si può avere – non come quando un fatto storico lo si studia a posteriori – ma, comunque, se si è attenti osservatori. Sicuramente tutto è più facile quando hai un accadimento simbolico a testimoniarlo: come lo furono, per esempio, la caduta del muro di Berlino o l’attacco alle torri gemelle, rispetto a quando la storia vira verso nuovi orizzonti senza che si compia un evento materiale di grande portata.
La crisi finanziaria – e poi economica – del 2008 ha segnato la vita in grande parte del mondo e grazie alla globalizzazione è stata, nelle cause e negli effetti, percepita in ogni angolo del globo terrestre. Non solo, dunque, la più grande crisi degli ultimi ottanta anni, ma anche un mondo decisamente “più piccolo e vicino”, unito dalla “rete globale”, che ne ha amplificato riflessi ed effetti e ha portato in superficie tutti gli aspetti più oscuri e fragili di quest’epoca e di quello che Bauman ha descritto come il passaggio dalla società moderna a quella “liquida”.
La crisi del 2008 non solo porta alla luce la faccia più malata del capitalismo ma sancisce la crisi iniziata, già qualche anno prima, dei modelli sociali, politici e democratici costruiti dopo la fine della Seconda Guerra Mondiale.
Davanti a questo scenario è evidente che il superamento di questa crisi non può risolversi solo nell’individuare nuove ricette economiche e finanziarie. Impone, invece, alla politica di avere una capacità di analizzare i problemi e individuare soluzioni che ne rinnovino la facoltà di regolare il mondo economico. Facoltà che è alla base della tenuta democratica delle società. È stata, infatti, la crisi della politica, della sua capacità di determinare e incidere sulle questioni macroeconomiche, una delle cause del suo discredito agli occhi dei cittadini: si è aperto, così, il campo al ritorno di vecchi e all’imporsi di nuovi populismi.
Dunque, l’uscita da questa crisi non può essere solo la produzione, seppur importante, di qualche decimale di Pil in più; si tratta di provare a immaginare e dare corpo a nuovi modelli che superino le storture di quelli entrati in crisi che hanno favorito una distribuzione troppo diseguale della ricchezza. Sperequazione che ha trasformato un fenomeno interessante e potenzialmente positivo come la globalizzazione, in un percorso che, dominato da una finanza deregolata, ha determinato un ampliamento ingiusto e crudele della forbice sociale. Con il risultato che nelle mani di pochi, l’1% della popolazione, è concentrata la metà della ricchezza mondiale. Otto super miliardari detengono la stessa ricchezza netta (426 miliardi di dollari) di metà della popolazione più povera del mondo, vale a dire 3,6 miliardi di persone. È quanto emerge da Un’economia per il 99%, rapporto di Oxfam (Oxford committee for Famine Relief, una confederazione internazionale di organizzazioni no-profit che si dedica alla riduzione della povertà globale attraverso aiuti umanitari e progetti di sviluppo) che sottolinea come “è necessario un profondo ripensamento dell’attuale sistema economico che fin qui ha funzionato a beneficio di pochi fortunati e non della stragrande maggioranza della popolazione mondiale”.

Siamo di fronte ad una crisi che ha disarticolato persino l’impresa e l’organizzazione del lavoro: i lavoratori, da cittadini, diventano strumento (costo del lavoro) sottoposto agli andamenti di mercato e quindi, più utili se maggiormente “liberi” da vincoli contrattuali troppo rigidi e da diritti acquisiti. Lo stravolgimento del modello fordista e questo nuovo capitalismo “feroce” non hanno colpito solo i lavoratori: anche la stessa impresa, come luogo di relazioni sociali e culturali, va dissolvendosi sotto i colpi di un’economia sempre più vincolata alle dinamiche del mercato finanziario. Dunque, ad andare in crisi non sono stati solo il sistema economico e l’organizzazione del lavoro e della società che ne sono scaturite. La crisi ha investito tutti i diversi settori della società. Infatti, oggi è negli ambiti culturali, relazionali e sociali che si manifesta il maggiore disorientamento dell’uomo moderno, ormai sempre più solo e spaventato davanti a ciò che potrà essere il futuro. Tutto ciò vuol dire che il conflitto sociale ha travalicato i vecchi blocchi, ponendo davanti ai nostri occhi una nuova sfida: articolare una proposta politica che non possiamo pensare di costruire con schemi e soluzioni del passato. Proprio partendo dalle nostre solide radici e da una ritrovata capacità di guardare al futuro, la Sinistra e i progressisti si dovranno impegnare a pensare nuove soluzioni, prima che il dissolversi definitivo del senso di comunità democratica lasci definitivamente spazio all’affermazione di pulsioni reazionarie e populiste che propongono “sicurezze” che l’oggi non è più in grado di garantire: lo Stato Nazione, i Muri e il rilancio di un vago concetto di identità come palliativo mascherato da soluzione ai problemi impellenti.
Qui sta, secondo me, l’avversario e la sfida per tutti noi e per il Partito Democratico, oggi, a 10 anni della sua nascita. Una sfida che può essere affrontata non prima di accantonare la logica individualista che da qualche anno ormai ha invaso anche la nostra comunità. Dobbiamo superare l’illusione che bastino un leader e una prospettiva di autosufficienza per superare i problemi. Dobbiamo isolare dentro e fuori di noi le posizioni più estreme, costruite sui reciproci veti e, finalmente, tornare così a fare quello da qualche anno non facciamo più: analizzare, studiare e rilanciare una politica ed un programma progressista ampio e aperto al contributo di tutti, che possano dare una visione chiara del futuro. Si tratta di lanciare una sfida – con i nostri partner europei e mondiali, ben oltre i confini nazionali – che consiste nel dar vita a una piattaforma fondata su un modello internazionale di società, che affronti le incertezze del futuro, rimettendo al centro di tutto l’uomo. Non si tratta quindi di trovare importanti correzioni a un modello di società e di economia andato in crisi. Si tratta proprio di mettere al centro del progetto un nuovo paradigma, quello che un nostro grande padre politico come Alfredo Reichlin aveva chiamato “nuovo umanesimo”.
Facciamo bene a rivendicare i dati economici positivi – frutto anche delle nostre scelte di governo – ma non possiamo pensare di farlo con la logica che la profondità della crisi si possa colmare con un po’ di crescita. Punto centrale di tutto ciò è il Lavoro. Il trend positivo che emerge sui dati occupazionali non può, alla luce di quanto detto fin qui, essere ritenuto l’esaustiva soluzione di un problema che va ben oltre il numero dei posti di lavoro. Non si tratta di essere “gufi” ma di avere la lucidità di chiedersi se dentro una società post-moderna, globalizzata e dove sono crollati tutte gli assetti che abbiamo conosciuto nel dopoguerra, possiamo ritenere sufficiente una ripresa occupazionale troppo sbilanciata sulla “precarizzazione” del lavoro e dei suoi protagonisti. Io dico di no. Dico che, se è sacrosanto lottare per un posto di lavoro in più, deve diventare, per noi, altrettanto assillante costruire un nuovo modello sui temi del lavoro. Modello che ci permetta di mettere un freno a questo continuo senso di incertezza e instabilità che pervade la società di oggi e le nuove generazioni. Siamo chiamati ad approcciare i dati non solo in chiave quantitativa ma anche e soprattutto qualitativa: il lavoro, il reddito, la qualità della vita, la possibilità di mettere su famiglia, di formarsi e crescere, di dare un senso ai legami sociali, di sviluppare passioni e tempo libero sono tutti elementi che devono essere considerati, affinché si lotti non solo per generare piena occupazione ma anche una buona occupazione. Obiettivo questo che permette di tenere insieme la questione lavorativa ed economica e quella democratica: solo ridando alla politica il ruolo di generare una nuova speranza, riavvcineremo ai cittadini anche le Istituzioni.

Non possiamo pensare che ci si possa lasciare alle spalle la più grande crisi economica di sempre senza pensare di cambiare gli schemi, i modelli e le idee che sin qui ci hanno guidato e garantito standard di vita, oggi, svaniti. Dobbiamo ritrovare la lungimiranza e lo spirito alto e nobile che animarono i nostri nonni nel portare l’Italia e l’Europa fuori dal dopoguerra. Dobbiamo essere in grado di gettare le fondamenta di una nuova società, di una nuova identità collettiva basata su un nuovo umanesimo che rimetta al centro le relazioni umane, la dignità di ciascuno e superare definitivamente la logica neoliberista che riduce tutto a costo e mezzo per generare profitto destinato ad arricchire pochi e far soffrire tanti.
Per troppo tempo abbiamo pensato che bastasse correggere i modelli liberisti dominanti per garantire giustizia sociale e benessere. Forse per un periodo è stato così. Ma da anni questa famosa terza via è diventata prima insufficiente e, poi, anch’essa parte di un sistema malato. È dunque tempo di dotarsi di strumenti e visioni del mondo che permettano di dominare la complessità, arginare il populismo e offrire all’Italia, all’Europa e, più in generale, al mondo un nuovo Progressismo. Un indirizzo politico che abbia al centro della sua azione un nuovo modo di concepire la vita, il lavoro e il mondo attraverso un unico grande comune denominatore: l’uguaglianza.
Se il PD accetterà questa sfida e saprà costruire questa nuova fase, allora potrà continuare a essere il soggetto aggregatore, innovatore, progressista e riformista che dieci anni fa è stato chiamato a essere.

Lorenzo Sala

Lorenzo Sala

Coordinatore Sinistra PD-Laburisti Monza-Brianza.

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