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Agli anziani la pensione, ai giovani il lavoro.
Lavoro di cittadinanza, pensione contributiva di garanzia.

Questa è un’epoca caratterizzata dalla discontinuità dell’attività lavorativa. Si tratta di una dolorosa realtà che ogni giovane deve affrontare. Per questa ragione si deve pensare, anziché a un sussidio “esistenziale” come il reddito di cittadinanza, a un aggiornamento del welfare che risponda a tale realtà.
Va evitata una polemica strumentale tra le generazioni e va ricercato un punto di equilibrio tra interessi apparentemente inconciliabili. Se vogliamo che i giovani trovino più facilmente lavoro, oltre agli incentivi all’assunzione, va consolidata la strada della flessibilità previdenziale per chi è prossimo alla pensione, al fine di favorire lo sblocco del turnover nei settori pubblici e privati. Un salutare ricambio di lavoratori nelle aziende, che accompagni i più anziani verso la pensione e non verso una disoccupazione di fine carriera, è un obiettivo utile sotto il profilo sociale ed economico.
Lavoro di cittadinanza. I giovani, nel momento in cui si iscrivono ai centri per l’impiego, devono diventare beneficiari di una dote di sgravi fiscali devoluta all’imprenditore solo nel caso di assunzione a tempo indeterminato. In caso di contratti non stabili, la dote deve rimanere in capo al giovane. Gli sgravi devono, ovviamente, essere strutturali e non a spot.
Pensione contributiva di garanzia. Occorre, inoltre, dare attuazione a quella parte dell’accordo, stipulato dal Governo Renzi con Cgil, Cisl e Uil, sulla previdenza, in merito alla pensione contributiva di garanzia per i giovani, che stabilisce uno standard minimo pensionistico (ad esempio, 1.500 euro lordi mensili) che, per essere raggiunto, può essere integrato con l’attuale importo dell’assegno sociale. Si tratta di assicurare un ritiro dignitoso agli attuali giovani, ovvero a coloro che andranno in pensione a partire dalla metà degli anni 30 di questo secolo. Un primo passo può essere compiuto cancellando il vincolo assurdo che impone, a chi vorrà andare in pensione a 63 anni, con l’assegno esclusivamente calcolato con il sistema contributivo, di avere una pensione di importo almeno equivalente a 2,8 volte l’assegno minimo, circa 1.255 euro mensili. Un traguardo difficilmente raggiungibile per chi passa la vita nel lavoro discontinuo e a bassa retribuzione.
Si deve inoltre fermare l’utilizzo selvaggio dei “tirocini formativi” che altro non hanno fatto che legalizzare il lavoro sottopagato.

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